lunedì 12 ottobre 2009

un sardus pater che non ne vuole sapere/1

circa un anno e mezzo fa, nel periodo pasquale, sbarco in sardegna per camminare sul sentiero selvaggio.
sbarco in compagnia di un gruppo di continentali di varia residenza, tutti aderenti ad una associazione chiamata trekking italia. Svolti i necessari preparativi, partiamo al lunedì da cala gonone e arriviamo al venerdì a santa maria navarrese, dopo parecchio sterrato e diverse notti passate sotto le stelle.
tutto molto bello e soddisfacente. Il camminare in sé, il mangiare, la compagnia, il paesaggio. un’esperienza gratificante.

la nostra guida locale si chiama paolo, fondatore e gestore di una cooperativa impegnata nel settore turistico insieme a un socio di nome salvatore.
l’incontro con paolo mi causa un piccolo shock culturale e mi offre una fonte di meditazione.
paolo ha cinquant’anni ed è il primo della sua famiglia ad aver compiuto una scelta professionale alternativa alla pastorizia. il padre porta ancora al pascolo le greggi. il legame di Paolo e del suo socio con il mondo degli avi emerge da mille particolari: lingua, mentalità, rapporto con l’ambiente. non a caso, l’ultima notte la passiamo in un loro ovile. o meglio, ex ovile adattato all’accoglienza dei clienti.
paolo e salvatore fanno questo mestiere da quasi vent’anni e mi porgono un’immagine di sardo e di sardegna per me assolutamente inaspettata. quando io ho lasciato l’isola nessuno parlava di trek ed era impensabile che un ogliastrino duro e puro si imbarcasse in un’iniziativa imprenditoriale così ardua. i due soci lavorano infatti prevalentemente con i non sardi. tra loro, molti stranieri: giovani che si arrampicano sulle rocce di cala luna o di cala goloritzé. nell’insieme, paolo e salvatore mi sembrano un prodotto felice della globalizzazione. lì, sulla terra del sentiero selvaggio, hanno trovato il modo di conciliare le esigenze aziendali e del turismo con quelle della natura, di aprirsi al mondo e proiettarsi nel futuro tenendo ben saldi i piedi nel passato.

difficilmente, però, quand’anche fa un salto, la storia salta a piedi uniti.

nel corso delle lunghe ore di cammino comune, parlo molto e litigo con paolo.
provo d’istinto un grande rispetto per lui. so che, secondo le ricerche genetiche più recenti, il suo dna presenta una corrispondenza eccezionale, pari fino al 40%, con il dna dei nostri antenati nuragici. romanticamente penso che, se c’è tra noi un sardus pater, questi è proprio la guida dell’ogliastra.
fatto è che paolo non ne vuole sapere.
il suo discorso è una sola, ininterrotta recriminazione contro i forestieri. tra i quali ci sono pure io: come cagliaritano, si rifiuta ostinatamente di considerarmi sardo. a partire dall’editto sulle chiudende del 1820, sembra che per lui chi ha amministrato la sardegna abbia fatto solo danni. si vanta di non pagare le bollette della luce e del telefono, a quanto pare servizi dovuti. e scuote la testa quando gli chiedo se un giorno la sardegna sarà indipendente. dice che è assolutamente impossibile. che i sardi sono troppo individualisti e disuniti. e ammette che lui sarebbe il primo a remare contro.
insomma, più che un sardus pater, paolo finisce per presentarsi a me come un urano divoratore dei propri figli.
una contraddizione sulla quale, per raccapezzarmi, devo riflettere a lungo...

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