lunedì 14 dicembre 2009

Rispettare insieme i tori e la tradizione

Tra le diverse cose che mi appassionano c'è l'opera lirica. Pur vivendo nei pressi di Milano, non posso andare spesso, come vorrei, alla Scala, per motivi di costi e di tempo. Ma appena sono libero, la sera, a volte mi godo in DVD - ne ho una bella collezione - un atto della Traviata di Verdi, di Così fan tutte di Mozart, di Der Rosenkavalier di Strauss, del Ritorno di Ulisse in patria di Monteverdi e così via.
Di conseguenza, appena ho saputo che un canale televisivo satellitare permetteva di seguire in diretta la prima di quest'anno - la Carmen di Bizet - mi sono organizzato per registrarla e me la sono vista il giorno dopo.

Lo spettacolo mi è piaciuto.
Bene gli interpreti - solo un po' emozionata, al primo apparire sulla scena, la giovane Carmen -; ottimi come sempre l'orchestra e il coro; non male, a mio umile giudizio, e questo contro il parere espresso a fischi da parte del pubblico in teatro, la regia di una giovane italiana, anche lei esordiente: affascinante la scena dell'uscita delle sigaraie dalla fabbrica, evocativo il canto di Michaela, che spera di sposare Don José, quando appare completamente avvolta in un ampio velo bianco che assomiglia a una rete che la imprigiona...

Un dubbio, però, a proposito di regia mi è venuto. E mi è venuto prima di ascoltare - comunque stupito - i fischi di parte del pubblico. Un particolare, se volete, che mi ha disturbato. Una stonatura.

Si tratta di questo. In una scena del secondo atto compare il torero Escamillo, l'uomo di cui Carmen si innamora e che vorrebbe sostituire, come amante, al geloso Don José.
Com'è tradizione e come tutti si attendono da questo personaggio, Escamillo canta orgoglioso il suo eroismo di torero imbattuto. Nella prima della Scala lo fa camminando avanti indietro su una tavola imbandita: fiero e sprezzante.
Ed ecco la stonatura. La regista, pensando, credo, di fare cosa corretta secondo il nostro gusto attuale a proposito di certe cose, fa dispiegare, dietro il tronfio torero che sta cantando, due grandissime gigantografie. Entrambe rappresentano il muso insanguinato di un povero toro appena abbattuto in una corrida dei giorni nostri. La vittima, ancora calda di vita e, ripeto, lorda di sangue acceso, fissa il pubblico con occhioni innocenti.
Insomma: nel bel mezzo della popolarissima Carmen, la regista ha voluto lanciare un appello accorato e fortissimo... contro la barbara tradizione della corrida.

Ora, che c'entra tutto questo con Bizet? Che c'entra con lo spirito della Carmen? Ma soprattutto: abbiamo davvero così poca fiducia nel pubblico da temere che la voce fiera del torero voluto dal grande musicista francese possa far venir voglia alla gente di Milano di uscire dal teatro e correre ad ammazzare o almeno a veder ammazzare un toro innocente?

Sì, per me è stata una nota stonata. Quell'irrompere del politicamente corretto - che va benissimo: io in difesa della corrida ho pochi argomenti da spendere - in uno spettacolo che ha in sé la propria giustificazione estetica mi è sembrata una vera barbarie. Una colossale sciocchezza.
E' stato come rappresentare un sacrificio umano in un film sugli Aztechi e metterci un sottotitolo lampeggiante che dice: "Attenzione! Queste cose non si fanno!". E' stato come rappresentare la crocifissione di Gesù, sempre in un film, con sottotitolo: "Attenzione! Non ce l'abbiamo coi romani, né con gli ebrei".

Devo davvero spiegare perché quelle foto di tori ammazzati mi sono sembrate fuori luogo? 
C'è qualcun altro a cui sono sembrate il segno di una cultura, la nostra, che non sa interpretare il passato per quello che è e nello stesso tempo mantenersi serenamente convinta delle sue idee e della propria sensibilità?


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