domenica 7 marzo 2010

Un messaggio dal nostro passato, tra lacrime e smarrimento

Circa un mese fa mia suocera mi ha comunicato una notizia che ha toccato il cuore dei saronnesi doc. Il Comune aveva deciso di organizzare una solenne cerimonia per la consegna alla famiglia della targhetta di riconoscimento del caporale Luigi Maruti, un giovane appartenente a una delle più antiche famiglie della città partito nell'autunno del 1942 per combattere in Russia. Egli risultava ufficialmente disperso dal gennaio 1943, durante la rovinosa ritirata del nostro esercito nel gelo e sotto il fuoco dei sovietici. Grazie al ritrovamento della targhetta di riconoscimento del nostro concittadino, oggi sappiamo che egli fu fatto prigioniero, fu internato in un campo di prigionia, morì prima della fine della guerra e fu seppellito in una fossa comune.

Ho voluto partecipare alla cerimonia perché le vicende delle due Guerre mondiali del Novecento mi hanno sempre turbato e commosso profondamente. Sono nato nel 1964 e ho vissuto tutti gli anni della mia vita nella società del benessere, in pace e in uno Stato associato a solide alleanze internazionali. Quei conflitti, che hanno fatto soffrire i miei nonni, potrebbero essere per me solo un ricordo dei banchi di scuola. E invece no. Tutte le volte che ho letto dei libri, visto documentari, visitato cimiteri militari ho sentito che quelle migliaia di giovani mi rivolgevano un appello e tentavano di coinvolgermi nel loro travaglio. Non temo di sembrare esagerato: io sento che un grido, uscito dalle loro bocche, ci raggiunge ancora, echeggia ancora intorno a noi, oppure attende, dentro di noi, di risvegliarsi non appena si avvicina il pericolo che qualcosa di simile a quelle guerre insensate ci possa di nuovo travolgere. Io credo, per esempio, che quei conflitti siano in parte all'origine del senso di sospetto degli italiani nei confronti delle istituzioni. Credo anche che abbiano instillato nelle coscienze dei padri della mia generazione un bisogno di rivalsa, più che di pace: il senso di una specie di diritto ad essere risarciti dalla storia.

Comunque sono andato alla cerimonia, armato di un pacchetto nuovo di fazzoletti di carta perché ogni sofferenza umana mi commuove e il pianto che non si nasconde, il pianto che è tentativo di smuovere dal profondo la morsa dell'angoscia è il più antico modo di manifestare la propria protesta contro l'assurdo.
La cerimonia si è tenuta la mattina del 5 marzo, nella sala del consiglio comunale di Saronno. Presenti le autorità civili, militari, religiose. Presenti - con bandiere, gonfaloni, berretti, divise, medaglie e gagliardetti - i rappresentanti delle Associazioni combattenti e reduci di tutte le armi e i rappresentanti della Associazione Nazionale Partigiani. Presenti alcune classi di studenti dei licei della città. Presenti numerosi semplici cittadini come me.

Tutto è cominciato con il canto dell'Inno nazionale. Sono stati letti ampi brani della corrispondenza con i familiari del caporale Maruti, testimonianze, ricostruzioni delle vicende in cui fu coinvolto il suo reparto di appartenenza. Poi la tromba ha suonato il silenzio e la targhetta che prova dopo tutti questi anni il decesso del loro congiunto è stata consegnata alla sorella del defunto e ai nipoti. Infine è stato proiettato un lungo filmato con testimonianze originali sulla guerra di Russia.
Tutto ben fatto, con serietà e rispetto.
Ma le parole "patria" - addirittura ho sentito "difesa della patria", la guerra in Russia! - , "onore", "alpini invitti", "spirito di sacrificio" sono risuonate insieme a "pace" e "rifiuto della guerra" e gli adolescenti presenti, per quanto tutti attenti e rispettosi (e non è poca cosa), non sembravano capire.
Comunque, il grido contro l'assurdo, che si levò anche in quel gelido inverno russo del '42-'43, ci ha raggiunto tutti di nuovo, senza che nessuno tra i presenti avesse un'idea chiara su come farlo per sempre tacere in un vero riposo eterno.

Il caporale Maruti era un giovane intelligente, scriveva bene in quell'italiano un po' solenne e ottocentesco che aveva imparato a scuola. Ben quattro ufficiali lo volevano con sé, poco prima che scoppiasse la tragedia della ritirata, per la sua serietà, precisione, dedizione al bene del reparto (fu, tra l'altro, responsabile del magazzino dei medicinali di tutto il reggimento).

Il caporale Maruti visse nell'epoca in cui lo Stato poteva imporre ai cittadini la divisa e l'obbedienza in nome degli interessi di chi dello Stato si era impadronito con la forza e l'inganno.
Oggi questo non è e non sarà più possibile solo se troveremo la risposta al suo grido. Non credo che sia ancora successo, con buona pace delle lacrime (queste di commozione e orgoglio insieme) dei reduci e nostalgici.
Non siamo più soldati come Maruti. Non sappiamo ancora, tuttavia, cosa siamo diventati. La strada della costruzione di una nuova coscienza umana e civile è ancora aperta davanti a noi, come la lunga pista dei ritirati di Russia.
Auguri, camerati.

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