domenica 17 ottobre 2010

IRS e Lega Nord: che significa stare tra la gente?

Durante l’incontro bolognese dei simpatizzanti di iRS - indipendentzia Repubrica de Sardigna -, di cui ho già parlato, ho sentito più di una persona affermare che l’unica e vera somiglianza tra iRS e Lega Nord sta nella capacità di farsi presente sul territorio. Unica e vera, contro l’assai più frequente accostamento di iRS a Lega Nord a proposito di separatismo. Vorrei dunque soffermarmi su questo particolare e analizzarlo da vicino.


Negli ultimi quindici anni ho risieduto in tre centri diversi della provincia di Varese: Origgio, che ha circa settemila abitanti, Saronno, che ne conta quasi quarantamila, e Tradate, che ne ha poco meno di diciottomila. Per quel che ho visto, sono tutti paesi e città dalla forte economia e dai servizi efficienti. A Origgio il sindaco è il leghista Luca Panzeri, quarantacinquenne, al secondo mandato e rieletto nel marzo di quest’anno con il 38% di preferenze personali. A Tradate, dove vivo ora, il sindaco leghista Stefano Candiani è anch’egli un quarantacinquenne al secondo mandato: ha avuto alle elezioni del maggio 2007 oltre il 60% di preferenze personali. Una percentuale così elevata da spingermi a chiedere a più persone cosa trovassero in lui di particolarmente valido. Su un altro versante, è egualmente emblematico il caso di Saronno, dove la Lega è stata per ben dieci anni all’opposizione della giunta di centro-destra, senza per questo mostrare meno vigore o radicamento tra i cittadini. Dallo scorso giugno, caso più unico che raro, a Saronno il partito più forte è il PD, causa scissioni interne al PDL, e la Lega è ancora la voce d’opposizione più sonora. In tutti questi posti ho avuto modo di conoscere diversi votanti e amministratori leghisti, facendomi un’idea di cosa significhi per loro stare sul territorio.


Per i cittadini la capacità dei leghisti di stare sul territorio è incarnata prima di tutto dalla loro costante presenza fisica in piazza. Negli anni in cui ho abitato a Saronno, non passava domenica che i militanti della Lega non fossero agli angoli delle strade, per qualche raccolta di firme, per un comizio, per un concerto di musica folk, per la distribuzione del foglio di sezione. Ogni pretesto era buono per stare tra la gente. Che piovesse o facesse un caldo torrido, loro erano lì, con banchetti, gazebo e fazzoletti verdi al collo.

In secondo luogo, per i seguaci di Bossi avere un amministratore leghista significa contare su uno dei loro, anzi, su «uno di noi». A livello locale, non ci sono politici professionisti. Tutti gli eletti emergono dalla base, parlano la lingua della base, conservano le idee della base e mantengono il mestiere che gli dà da mangiare. Panzeri, a Origgio, è un operaio metallurgico, Candiani, a Tradate, è un industrialotto che produce packaging per cosmetici. In altre parole, c’è una identificazione quasi totale tra base e amministratori: la prima delega la propria fiducia ai secondi e sa di andare sul sicuro. Non teme cattive sorprese e non ne riceve. Ancora più precisamente: militanti e amministratori della Lega hanno una elevata e molto prosaica capacità di essere consonanti con i loro elettori. Tanto elevata da lasciare a bocca aperta.

Terzo elemento, e sia detto senza voler contribuire ad alcuna mitologia leghista. I militanti e gli amministratori della Lega nutrono e mostrano per la propria terra una passione profonda, largamente percepita da elettori e simpatizzanti. Tale passione è il loro primo interesse e motore d’azione ed è perciò che, al confronto, gli attivisti degli altri partiti sembrano vecchi mestieranti. Così si arriva al paradosso che la base della Lega Nord, partito di vita ormai pluridecennale, conserva un entusiasmo e una freschezza neppure mai acquisiti da chi sta in PD e PDL, partiti di nascita recentissima e che dovrebbero viaggiare su un abbrivio ben maggiore.

Questa passione genera l’ultimo dei fattori caratterizzanti lo stare sul territorio della Lega Nord. I suoi amministratori hanno un programma chiaro e limitato, che difendono con i denti: realizzare la volontà dei loro elettori, senza guardare in faccia nessuno. A tale fine strategico ho visto negli anni gli amministratori leghisti sacrificare molto: hanno rinunciato ad alleanze che sembravano immarcescibili o, al contrario, hanno accettato di legarsi a personaggi che poco hanno a che spartire con le idee di Bossi. Da questo punto di vista, nonostante il peso notevole della Lega sul piano nazionale, il Carroccio è rimasto una formazione essenzialmente locale: il municipio, la provincia e la regione vengono, ai rispettivi livelli amministrativi, prima di ogni altra cosa. Tale tattica e tale pertinace difesa degli interessi del circondario pagano: la gente di qui vota Lega Nord in massa.


Non conosco ancora abbastanza iRS e la sua azione per valutare sulla base di questi elementi quanta somiglianza ci sia tra lo stare tra la gente di leghisti e indipendentisti sardi. Voglio invece mettere in rilievo cosa trovo di inadeguato in tale paragone.

Non so se la Lega sia nata e cresciuta intercettando un malessere già presente nel popolo del Nord o se sia stata particolarmente abile nel suscitarlo e cavalcarlo. Fatto sta che l’ordine del giorno dei leghisti si è composto nel tempo mettendo in fila tutto ciò che qui nel settentrione non va bene e dandone la responsabilità a Roma. La capacità dei leghisti di percepire la “pancia” degli elettori ha permesso loro di crescere nei consensi, ma solo per portare avanti prima di tutto battaglie di chiusura e opposizione, né di apertura né propositive. Essere presenti sul territorio, a queste condizioni, è forse perfino troppo comodo.


I leghisti sono nazionalisti, al punto da avere inventato una nazione che non c’è e scagliarsi contro le altre nazioni: prima i terroni, poi gli extracomunitari. I leghisti sono spesso violenti nella lingua e nei sentimenti, da Bossi in giù, e alimentano così uno spirito pubblico di scontro. I leghisti rimarcano continuamente i torti subiti da Roma e sono nei confronti della capitale apertamente rivendicazionisti. La difesa degli interessi locali non è mai inclusiva, ma escludente e in definitiva impoverente, così come la passione per la propria terra. La base del partito nutre sentimenti analoghi ed è su tale direttrice che si chiude, nel segreto dell’urna, il circuito elettore-amministratore leghista.


IRS - nei suoi principi - non è niente di tutto questo ed è perciò che, a mio parere, lo stare tra la gente di iRS sarà profondamente diverso e più difficile di quello leghista. IRS non promette l’indipendenza come panacea di tutti i mali della Sardegna, ma si propone di contribuire a risolvere quei mali prima dell’indipendenza. Non vuole l’indipendenza contro qualcuno, ma per i sardi e per chiunque vorrà partecipare al loro progresso. Quanto agli amministratori di iRS, non dovranno aiutare i sardi ad essere solo più ricchi, ad avere un lavoro migliore, ad usufruire di servizi più efficienti. Se è vero ciò che ho sentito a Bologna, iRS desidera rendere i sardi migliori nel cuore e nella mente: compito obbiettivamente straordinario, molto al di là di quella cura degli interessi materiali che costituisce il primo e spesso unico obbiettivo dei nostri politici. Nel contesto attuale, credo che lavorare per i sardi significherà talvolta lavorare contro di essi e loro malgrado. Proprio perciò sarà utile e interessante seguire l’attività degli amministratori di iRS e verificare, giorno per giorno, il loro modo di stare tra gli elettori. Nella speranza di averne parole e fatti davvero nuovi.

(Postato da Maurizio Onnis)

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